giovedì 24 aprile 2025

Tra palco e schermo: l’arte dell’attore Pasquale Esposito come scoperta di sé e narratore di storie

Benvenuti a questa intervista con un artista versatile e appassionato del suo mestiere. Oggi abbiamo il piacere di dialogare con un attore, scrittore e regista italiano, una figura che ha saputo declinare il suo talento attraverso diverse forme espressive, portando sul palco e sullo schermo storie ricche di significato e profondità. La sua esperienza variegata e il suo approccio intenso al lavoro ci offriranno preziosi spunti di riflessione sul mondo dello spettacolo e sulla creatività come ricerca dell’essenza umana. Iniziamo subito, quindi, questa chiacchierata che promette di essere ricca di insight e passioni condivise. Attore, scrittore e regista italiano: in quale di queste tre definizioni ti ritrovi maggiormente? Senza nessun dubbio posso dire che mi ritrovo in quella di attore, anche se, per quanto mi riguarda, il mio essere attore è continuamente messo in discussione dal fatto che amo scrivere sceneggiature, filmare ed editare film. Questo, credimi, ribalta completamente tutto quello che so e che credo di sapere riguardo al mio essere attore. È un po’ come essere sempre senza un posto dove potersi fermare e poter dire: sono arrivato. Solo per condividere con te, l’editing è ciò che informa e rivoluziona, più di ogni altra cosa, il mio essere attore. Alla fine, sai, stiamo comunque parlando di raccontare storie. C’è, logicamente, una differenza tra raccontare storie dal vivo, che è l’evento del teatro, dal quale vengo e che amo, e l’evento del raccontare storie, per immagini e suoni, che è quello del filmmaking, completamente diverso (media diverso) e che amo molto. Eppure, in ultimo, si tratta sempre di raccontare storie: una miriade di storie diverse — storie vere, storie fantastiche, storie di paura, di sopravvivenza, di etica e religiosità, ecc. La mente umana è tarata e funziona per narrazione, per storie. Io sono due anni che sto scrivendo una sceneggiatura per un film, ed è un processo lungo e di una creatività incredibile. L’attore è colui che dà vita a ciò che è scritto sulla carta, e mettersi anche nella posizione di scrivere ciò che dovrebbe essere portato in vita, credimi, è un processo di integrazione e di rivelazione dell’essere umano.
Questa nostra intervista si svolge mentre stai lavorando in un set cinematografico. Ti è possibile anticiparci qualcosa? Purtroppo, non posso anticipare nulla perché è strettamente vietato parlarne; abbiamo clausole molto rigide nel contratto. Posso solo dire che si tratta di una nuova serie televisiva inglese, che andrà su ITV, il canale inglese, nel Regno Unito, ed è una storia di indagini su alcuni crimini che avvengono su un’isola. Credo che verrà trasmessa anche in Italia, ma al momento non so ancora dove.
Una carriera costellata di successi e soddisfazioni: cosa puoi consigliare a un giovane attore italiano che vuole intraprendere questa strada? Io consiglierei, innanzitutto, di fare chiarezza — con molta onestà — se si entra in questo campo per la passione di raccontare storie, per voler essere uno specchio dei tempi, per servire da riflesso della nostra società, oppure se si desidera semplicemente diventare famosi. Questo senza alcun giudizio su chi ambisce alla notorietà, ma è fondamentale essere chiari e onesti con sé stessi. Se uno vuole essere famoso, ci sono delle strade da seguire e molti modi; mentre, se si ama il lavoro, il mestiere di attore, allora bisogna studiare, ricercare e approfondire. Quando dico studiare e ricercare, non intendo solo l’acting, anche se, se si riesce a trovare insegnanti onesti e bravi, tanto meglio. Ma, per me, è più importante essere interessati a studiare e ricercare la verità espressiva di sé stessi, a capire la natura del comportamento umano, l’espressione e la comunicazione. Bisogna essere incuriositi dal perché uno risponde in un modo rispetto ad un altro, dall’origine delle reazioni umane. In ultimo, direi di essere interessati a studiare la natura dell’essere umano, non in modo filosofico, ma in termini espressivi. Se uno ha un semplice interesse nel diventare attore, io suggerirei di cominciare a scrivere una storia o un monologo, e di provare a portarlo in scena, anche in un teatro piccolo con un pubblico. Oppure di scrivere una storia per lo schermo (che è un processo di scrittura diverso), di filmarla e di affrontare poi il processo di editing delle immagini e dei suoni. Credimi, l’editing aprirà un mondo per quanto riguarda il rapporto tra espressione e comunicazione. Dopo aver completato il cortometraggio, si può inviarlo a vari festival e attendere le risposte.
Tu lavori sia in teatro che nel cinema. In quale dei due ti ritrovi di più e perché? Come accennavo prima, ho iniziato con il teatro e, appena posso, ci ritorno. Ad esempio, ho appena iniziato a preparare un progetto che vorrei realizzare sia a Londra che a Napoli. È la storia di un personaggio reale, Renato Caccioppoli, matematico e pianista favoloso. Su di lui è stato fatto un film, anni fa. La sua storia ha risuonato così profondamente nel mio cuore che ancora mi scuote dentro.
Quale ruolo hai amato interpretare di più e quale invece hai odiato? Penso sia chiaro: ogni personaggio, come ogni storia, è scritto su carta, e poi è l’attore che, in collaborazione con regia, luci, costumi, trucco, musica, ecc., dà vita, rende vivo quel personaggio, quella storia. Ho dato vita a molte personalità e caratteri, e tutti, in ultima analisi, vengono da me. Sono emersi da me: personaggi più saggi e onorevoli, e altri feroci, senza etica o morale. Ma tutti sono usciti da me. La scrittura dei personaggi è stata come uno spartito per un musicista. Dico tutto questo per rispondere onestamente alla tua domanda: oggi, che non sono più un giovane attore, posso dire di amare tutti i personaggi che ho interpretato, senza distinzione. E sai una cosa? Mentre lo dico… tutto questo mi sorprende, e ha anche una valenza terapeutica, nel senso che provo un profondo senso di accettazione per ogni parte di me, senza giudizi. Ho una parte aggressiva e rabbiosa, una parte amorevole, una spirituale, e anche quella vulnerabile, quella della paura e della violenza. Sono tutte melodie diverse della stessa sorgente: me stesso.

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