Se quella dolce terra distesa tra le rive del Lago di Garda
e la città di Verona attorno alla metà degli anni 60 si è trasformata da povero
territorio di stentata agricoltura in fiorente distretto industriale, lo si
deve a un uomo con un paio di forbici in tasca e due spilli appuntati sulla
camicia.
Si chiama Nicola Martinelli, di professione sarto.
A Lazise è il sarto per eccelenza, da sempre, anche adesso
che il testimone delle fabbriche Martinelli è passato nelle mani dei figli
Maria Teresa e Vittorio.
Come afferma lui stesso: "Ho sempre ritenuto la
sartoria una vera e propria arte, perchè c'è bisogno di creatività e ingegno
per disegnare e realizzare un bell'abito. E io, modestamente, ci sapevo
fare".
Nato in una famiglia di umile condizione a Sandrà, una
frazione di Castelnuovo del Garda, il piccolo Nicola fu subito attratto
dall'attività di sartoria che mamma e sorella praticavano in casa con
quell'affascinante macchina da cucire a pedale.
Timido, magro, troppo gracile di fisico per seguire le orme
del padre che era muratore, decise che voleva fare il sarto e dodicenne, entrò
come apprendista nella bottega di Carlo Negri a Castelnuovo, la più rinomata
sartoria della zona.
Poi la guerra e le sue ristrettezze, il primo laboratorio
aperto in paese con la sorella Edria e poi quello di Pastrengo.
Ma la svolta fu la partenza per Milano nel 1949.
Tra i clienti di Martinelli c'era anche un giornalista del
Corriere della Sera, Alessandro Minardi, che scriveva anche sul Candido, il
combattivo settimanale fondato e diretto da Giovanni Guareschi, il padre di Don
Camillo e Peppone, e allora all'apice della notorietà.
Fu Minardi, amico
fraterno dello scrittore, il tramite che lo fece incontrare con Guareschi.Per
il sarto veronese questa sarebbe stata la
sua svolta professionale. Era il 1951 e Martinelli avrebbe confezionato
per l'inventore di don Camillo oltre una decina di abiti.
I due erano così in confidenza, che qualche volta negli articoli
di Guareschi spuntava un"come dice il mio sarto Nicola Martinelli". E
così, per tutti l'umile artigiano di Sandrà divenne "il sarto di
Guareschi".
E a metà degli anni
50 l'atelier Martinelli poteva annoverare tra la sua clientela mezza
"Milano bene".
Ma Martinelli, che fin da ragazzo aveva sempre avuto il
culto della famiglia, aveva un altro sogno nel cassetto: quello di tornare al
suo paese e aprire lì una nuova sartoria coinvolgendo la famiglia e avviando
un'attività industriale che portasse lavoro e benessere nella sua terra. Ciò si
è avverato, grazie all'idea di produrre collezioni femminili a livello
industriale, avvalendosi anche del lavoro a domicilio.
Dal 1961, data dell'apertura del primo capannone, questa
terra ha conosciuto un'enorme sviluppo economico, trainato dal sorgere del
distretto veronese del "prontomoda". E l'artefice di questa
rivoluzione si chiama Martinelli, un uomo con "stoffa" da vendere.